12 Gennaio 2021
IL FATTO ALIMENTARE | Presente e futuro dello street food
Dal Barbie Burger al panino all’astice di Expo 2015: in questo articolo de Il Fatto Alimentare si parla del Corso per Street Food Specialist Accademia delle Professioni
Da fine novembre 2020 a metà febbraio 2021 in Italia si può mangiare il Barbie Burger, una special edition di Flower Burger in partnership con Mattel, la casa di produzione di giocattoli tra cui Barbie. La prima veganburgeria italiana – nata a Milano nel 2015 e presente in diverse città della penisola (Milano, Torino, Bergamo, Verona, Bologna, Firenze, Rimini, Roma, Bari e Palermo) e non solo (Marsiglia) – ha creato un panino quasi completamente rosa: con un bun (termine che indica il panino dolce e morbido) arricchito con estratti di barbabietola e un patty (la polpetta schiacciata inserita all’interno del bun) di lenticchie e riso basmati. Il tutto è farcito con del Barbie hummus e della Barbie mayo le cui sfumature passano dal rosso-fucsia al rosa più chiaro. Il suo costo ammonta a 9,50 euro.
Panini, burger, patatine sono alcuni dei cibi tipici dello street food, che, secondo la definizione data dalla FAO, è costituito da quegli alimenti e bevande pronti per il consumo, preparati e offerti da venditori in strada o in altri luoghi pubblici. Il cosiddetto “cibo di strada” esiste però da molto prima della sua definizione: se ne hanno notizie sin dall’antico Egitto, da dove tale cultura alimentare è passata alla Grecia per poi essere adottata dai Romani. Una delle caratteristiche che un tempo definiva questi alimenti era la loro natura “povera” nel senso di accessibile a tutte e tutti. Originariamente, infatti, i clienti tipici appartenevano alle classi meno abbienti della società che, non avendo la cucina in casa, consumavano pasti frugali e poco costosi fuori dalle proprie abitazioni. Pare evidente dunque come il prezzo non rappresenta più un requisito fondamentale per lo street food dato che oggi un panino può raggiungere i 10 euro senza per questo essere servito in un ristorante.
Se da una parte il cibo di strada si allontana sempre di più dalle sue origini umili, dall’altra continua a identificare ed esaltare il territorio e la tradizione, un’ambivalenza quest’ultima che si è manifestata molto bene durante l’Expo 2015. L’evento tenutasi a Milano è stato un’occasione per rivalutare e conoscere ricette tipiche provenienti dall’Italia e dall’estero, spesso proposte a cifre elevate. In questo modo si è messo in scena il doppio paradosso: cibo che per definizione viene venduto in strada o in altri luoghi pubblici è stato offerto all’interno di una kermesse che esigeva il possesso del biglietto d’ingresso a un costo per nulla popolare – il panino all’astice a € 15 venduto nello stand degli Stati Uniti ne è un esempio.
In quello che sembra un delirio gastronomico che vede come novità un burger che omaggia una delle bambole più famose e allo stesso tempo più criticate degli ultimi sessant’anni, lo street food si erge a futuro della ristorazione. Accanto alla farinata ligure, allo sfincione siciliano, all’arancina o arancino che dir si voglia, sono oramai in voga panini con impasti impreziositi dall’alga spirulina, da estratti di carota nera e di ciliegia, ingredienti che fanno di un panino un oggetto “instagrammabile”. Oltre ai componenti, ad arricchirsi è la stessa fetta di mercato della ristorazione ambulante che da 1.717 attività del 2013 è passata a 2.729 nel 2018 come descritto da Unioncamere – Infocamere sulla base dei dati ufficiali del Registro delle Imprese tra il 2013 e il 2018. L’incremento del 60% in cinque anni ha fatto sì che si creassero dei veri e propri Corsi per ottenere la Qualifica Professionale di Street Food Specialist come quello organizzato dall’Accademia delle Professioni di Padova.
Quello dello street food è uno sviluppo sociale, economico e tecnologico: migliaia di anni fa a Pompei le tabernae – dei piccoli ambienti che si affacciavano direttamente sulla strada, portate alla luce durante gli scavi – offrivano i piatti del giorno al popolo, nei decenni passati il fish and chips era il pasto operaio tipico dei minatori inglesi, oggi l’azienda torinese VS Veicoli Speciali cura con soluzioni brevettate gli allestimenti dei food truck (veicoli con cucina attrezzata) personalizzando anche quelli di grandi realtà – come Lavazza, Autogrill, Acqua Sant’Anna, Tesla – che utilizzano il veicolo come mezzo promozionale per tour ed eventi. Sebbene lo street food abbia origini antichissime, il restyling che ha subìto e che continua a subire lo ha esposto al fenomeno della gentrificazione del cibo. Il risalto mediatico dei prodotti e la ricerca verso nuovi ingredienti hanno fatto di piatti “semplici” alimenti di tendenza, elevando il loro status e il loro prezzo. Esattamente come avviene per i quartieri urbani, il cibo di strada sembra subire una sorta di riqualificazione che fa anche dei burger scelte healthy arricchite con superfood e della pizza una ricetta gourmet. I punti vendita di alimenti non sono mai sconnessi rispetto al contesto in cui sorgono e spesso definiscono la natura del sobborgo stesso. Veganburgerie, ristori alla moda, bar hipster possono innescare profonde modifiche di un’intera area cittadina qualora i servizi offerti non fossero più alla portata dei suoi residenti. E nella logica del turismo gastronomico, della rivisitazione della tradizione, dell’artigianalità come abbellimento il mercato rionale diventa zona di degustazione e il panificio una boutique del pane.
Articolo: Il Fatto Alimentare
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