2 Aprile 2021
Degustatore birra, lezione numero due: quattro ingredienti, infiniti stili
Matteo Malacaria, autore del blog “Birramoriamoci” e del libro “Viaggio al Centro della Birra”, ci racconta la sua esperienza nel Corso per Degustatore di Birra: la seconda lezione evidenzia quanto sia importante conoscere gli ingredienti e le loro interazioni per la produzione di stili di birra differenti.
Ecco il mio resoconto della seconda lezione del Corso Degustatore Birra.
Secondo appuntamento del corso per Degustatore Birra. Alziamo l’asticella della difficoltà: stavolta si penetrano i meandri della materia prima, ovvero i quattro ingredienti elettivi per la produzione brassicola: acqua, malto, luppolo e lievito. Quattro ingredienti, tuttavia son ammesse infinite combinazioni, con una varietà di stili birrari. È per questo che considero il birraio alla stessa stregua di uno chef: entrambi, combinando tra loro diversi ingredienti, danno una personale interpretazione di una ricetta più o meno codificata. La differenza è che, mentre la cucina è combinazione alchemica, la birra è chimica allo stato puro.
Ecco perché conoscere gli ingredienti e le loro interazioni è determinante; la passione rimane motore pulsante del sistema, la chimica determina i parametri di manovra; utilizzare gli ingredienti senza consapevolezza significa non controllare la costanza qualitativa e, nella peggiore delle ipotesi, dare vita a un prodotto imbevibile.
Facciamo un brevissimo riassunto prima di procedere con i quattro assaggi.
L’acqua è l’ingrediente più sottovalutato, nonostante rappresenti il 90% del prodotto finito.
Il luppolo fa andare fuori di testa gli appassionati dell’amaro e degli aromi fruttati; è però un ingrediente infido, da utilizzare con criterio anche quando impiegato in dosi massicce. Ed è anche molto caro.
I malti rappresentano il ritrovo dei vecchi romantici, coloro i quali prediligono le coccole, non necessariamente dolci, e l’espressività dei cereali in genere.
Infine il lievito, il vero “mastro birraio” della birra, colui che capitana la fermentazione e correda il profilo organolettico con un ventaglio di sentori fruttati e speziati. È l’ingrediente più costoso ma anche quello che, opportunamente addomesticato, trasforma la birra in arte.
Per confermare la teoria l’intera classe è stata posta ai lavori forzati: bere.
Birra 1: Plain of the Po, Cr/Ak, DDH IPA
Un eccellente esempio dell’impiego della materia prima luppolo: esplosione fruttata al naso, tropicale e agrumato insieme, con un nonnulla di miele a equilibrare e una leggera cremosità dell’avena; più fiacca in bocca, priva di sbavature ma neppure con la fragranza dimostrata al naso. Una birra eloquente, che dimostra come la quantità esagerata di luppolo, opportunamente gestita, risulta in una bevuta gradevole, priva di fastidiose astringenze.
Birra 2: Abboccata, Birranova, Dunkles Bock
Birrificio schivo, sia per distanza geografica che per predisposizione verso il palcoscenico, ma che è sempre un piacere assaggiare. Qui, pur senza estrarre appieno la fragranza dei malti, maggiore gratificazione delle birre a bassa fermentazione, riesce a coniugare dolcezza e secchezza, evitando derive stucchevoli. Le coccole alcoliche sono benvenute; alcolicità, comunque, non pervenuta.
Birra 3: Marzarimen, Klanbarrique (Birrificio Italiano), Italian Grape Ale con 25% di uve Marzemino
Birra complessa, sempre benvenuta durante un corso di degustazione. L’acidità di questa birra è certamente determinata dalla presenza di lieviti selvaggi (brettanomyces); ma il vero protagonista, pur non essendo tra gli ingredienti succitati, è il mosto di uve Marzemino. Il risultato è eccellente sintesi tra il mondo della birra e quello del vino. Esemplare, come giustamente evidenziato a lezione, che racchiude uno straordinario potenziale di abbinamento al cibo; il che rappresenta, prim’ancora della bontà della birra in oggetto, il punto di forza di questo particolare stile a cavallo tra due mondi.
Birra 4: Celebrator, Ayinger, Doppelbock
Una birra iconica, emblema di uno stile birrario; una birra immortale che, nonostante l’età sul groppone e i suoi comunque ragguardevoli 6.7 gradi alcolemici, scende giù leggera e sbarazzina. Base caramellata ma nessuna stucchevolezza, virtuosismo tostato che ricorda il cioccolato fondente e divagazioni torrefatte da caffè, in chicchi al naso e in polvere in bocca. Nel mezzo sfumature di frutti rossi. Niente da aggiungere se non che è sempre un piacere berla.
Credits: Matteo Malacaria
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